BANGLADESH INFERNO DI DELIZIE di Stefania Ragusa
Nonostante il Bangladesh sia il 7° paese più popolato al mondo, con il triplo degli abitanti dell’Italia in metà superficie, si sa molto poco su quanto avviene da quelle parti. Che sia una giornalista di Glamour, patinata rivista di moda, a farci conoscere la sconvolgente realtà di questo paese a me pare un ossimoro. Ma superando i facili pregiudizi questo libro (Vallecchi, pp. 185, € 9,50) ci porta alla scoperta di un paese pieno di dolore, tra ospedali, prostitute, missionari, semplici lavoratori, con uno sguardo attento a descrivere una situazione tragica, ma senza cadere nel pietismo.
E’ un paese strano il Bangladesh, estremamente povero, senza regole stradali, senza istruzione, senza la speranza in un futuro economico splendente come la vicina India. Ma ricco di un’umanità che mette in dubbio le nostre certezze. Come dice Beppe, uno dei medici, “arrivi qui e, una volta che ti sei abituato all’odore, quello che ti succede è che cominci a rivedere le priorità della vita. Certe cose che ti sembravano importanti iniziano a perdere i contorni e inizi a chiederti come sarebbe vivere in un altro modo”.
L’autrice lascia parlare spesso i personaggi incontrati lungo la strada, dando loro lo spazio di esprimersi liberamente e ne esce un quadro a volte spiazzante. Per esempio Ramon, un ragazzo bangladese adottato in Olanda, dice che “gli occidentali credono che la massima aspirazione per chi è nato nel Terzo mondo sia diventare come loro; io credo che la massima aspirazione di ogni essere umano sia diventare se stesso. E questo è molto difficile se continuano a strapparti le radici”, concludendo che sarebbe meglio non portare via i bambini dal proprio paese, anche se lo si fa “per il loro bene”. C’è la confessione di una sex worker dal tragico passato che però non pensa assolutamente a cambiare vita perchè ammette candidamente di guadagnare 10 volte tanto rispetto a un’operaia. E c’è la visita a uno slum che nella sua sconvolgente desolazione insegna che gli esseri umani sanno abituarsi a tutto, anche a vivere dentro piccole conche con il tettuccio di paglia e a vedere 2 bambini giocare di fianco a una donna che sta morendo di cancro.
Lo stile è scorrevole ed equilibrato, con numerosi pezzi interessanti. Consigliato a tutti quelli che vogliono aprire gli occhi su quella parte di mondo che tendiamo a dimenticare.
Recensione di Gianni Mezzadri
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