ISTANBUL di Ohran Pamuk
Fin dalle prime righe si capisce il perchè del titolo di questo libro (Einaudi, pp. 388, € 18,50), un’autobiografia intitolata semplicemente “Istanbul”: l’ Se si dovesse definire questo saggio/autobiografia con due semplici parole potrebbero essere malinconico e polemico, anche se in questo caso sono sentimenti che nascono da troppo amore e troppa sensibilità. Ogni descrizione, ogni ricordo (anche dell’infanzia), ogni momento vissuto, sono raccontati con mesto sarcasmo, come se tutto fosse passato, scivolato nel suo bagaglio personale ma mai goduto realmente. L’autore è fondamentalmente triste e amaro, come la sua Istanbul, che questa condizione l’ha scelta con superbia. Vengono dedicati molti capitoli a chi ha rivolto la sua attenzione alla città, ma Pamuk è sempre piuttosto prevenuto prima di ogni citazione o descrizione: se interna la critica per poco amore e troppa attenzione verso l’occidente, se esterna è da lui malvista perchè percepisce che gli occidentali vedono la città come un “fenomeno esotico” che passa velocemente di moda. E’ proprio questo uno dei temi più caldi durante tutta la narrazione, lo scontro tra oriente e occidente perchè “la città , dal punto di vista della popolazione, si mostra talvolta troppo occidentale , creando così nei suoi abitanti una leggera inquietudine e la preoccupazione di non appartenere completamente al luogo”. Prende in esame ogni aspetto della sua vita, dallo strano rapporto con la religione (“vivevo in una casa dove le contraddizioni, e le incoerenze spirituali ancor più profonde, erano trascurate silenziosamente”), alla famiglia, nucleo che lo ha cresciuto, formato e che ha incrinato la sua visione della vita, apparentemente normale e borghese ma con profonde fratture interne. Parla approfonditamente dei suoi maestri (stupenda la figura di Reşat Ekrem Koçu e la sua enciclopedia di Istanbul piena di stravaganze) e del Bosforo, compagno silenzioso di sempre.
La lettura non è sicuramente scorrevole, ma il libro vale sicuramente la pena leggerlo per l’amore che riesce a infondere nei confronti di questa splendida città, questo “Leopardi alla turca” che come la sua città fatica ad essere non solo diverso, ma speciale.
Recensione di Paola Annoni
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