UNA CITTA’ O L’ALTRA di Bill Bryson
Tra i commenti delle testate giornalistiche importanti mi cade subito l’occhio su il parere di “sette” che sottolinea come Bryson sappia “lanciare frecciate all’indirizzo dei cugini europei facendoli morire dal ridere”, sull’onda del fantastico “Un paese bruciato dal sole” mi faccio ancora una volta convincere dall’autore. Morire dal ridere. Beh, oddio. Ridere.
L’autore decide di ripetere il percorso fatto da giovane attraverso il vecchio continente partendo dall’estremo nord di Hammerfest arrivando alla Turchia, passando per i coffee shop olandesi, il pessimo cibo svedese e la follia automobilistica parigina. L’atteggiamento curioso e incantato lo caratterizza, in ogni città viene accompagnato da quella meravigliosa “sensazione di non sapere mai cosa potrebbe accadere” lo portano a riuscire a sorridere di tutto e a prendere ogni disavventura come un’avventura. Peccato che in questo viaggio emerga anche un atteggiamento ipercritico, che fa percepire una certa sufficienza nei confronti di questi “non americani” tanto strambi e con abitudini lontane dalle sue, stupito quasi che gli “europei” non si presentino tutti uguali in ogni angolo del continente (”Mi affascinava come gli europei potessero essere tanto uguali tra loro – a tal punto da risultare al contempo universalmente intellettuali e cerebrali, guidare auto minuscole e vivere in piccole case di città antiche, amare il calcio… – pur rimanendo così eternamente e sorprendentemente diversi”). Infastidisce soprattutto la descrizione dell’Italia, che ai suoi occhi “vanta la struttura sociale della repubblica delle banane” e vede in Firenze una città “più pacchiana di quanto avesse diritto di essere qualsiasi città altrettanto bella e generosamente sovvenzionanta dai turisti”: ci sta anche questo, ma l’Italia non è “solo” questo, altrimenti ci si ferma sempre a pizza, mafia e mandolino. Le sue descrizioni fanno ridere, ma dopo aver rivissuto posti visti e conosciuti attraverso i suoi occhi mi viene da pensare che tutto sia davvero un po’ troppo stereotipato e colorito, come se ogni paese europeo fosse solo la parodia di quello che ogni turista o viaggiatore si aspetti. Lo stile è sempre quello scorrevole e allegro di Bryson, ma forse è meglio che resti, con le prese in giro, al di là del mare.
Recensione di Paola Annoni
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