STARBUCKS – IL BUONO E IL CATTIVO DEL CAFFÈ di Taylor Clark
Chi è solito viaggiare nelle città in giro per il mondo negli ultimi anni non ha potuto fare a meno di notare una sempre più frequente presenza delle caffetterie Starbucks, spesso con punti vendita estremamente ravvicinati. Con otre 17000 negozi in 55 paesi è l'unica vera rivale di McDonald's come diffusione mondiale, con la notevole differenza che non è una rete in franchising. Ma come è possibile che questa azienda di Seattle sia riuscita a trasformare una materia prima che gli americani erano abituati a prendersi per un quarto di dollaro nei baracchini e nelle tavole calde, in un prodotto di lusso e a riempire di punti vendita ogni città importante? (si può trovare uno Starbucks anche in una chiesa dell'Indiana e presso la Grande Muraglia Cinese). Il successo di Starbucks negli Stati Uniti nasce principalmente dalla carenza di un luogo di ritrovo pubblico, con l'aggiunta di quel senso di socialità e di protezione di cui la gente sente il bisogno. Ma come si spiega il successo nell'Inghilterra dei pub, nella Cina delle sale da tè o nella Francia piena di tranquilli caffè all'aperto?
Questo libro indaga sui motivi di questo misterioso successo, ma anche sulle conseguenze etiche di questo dominio globale, sia a livello delle piccole caffetterie che sullo sfruttamento dei coltivatori di caffè. Per molti l'ubiquità di Starbucks è il massimo della comodità, per altri una tremenda perdità di unicità, e il ritrovarsi dall'altra parte del mondo un posto uguale a quello sotto casa. La cultura distintiva delle città è sostanzialmente il suo unico bene ed è innegabile che Starbucks toglie qualcosa di insostituibile al carattere delle comunità.
Oltre a essere una lettura molto piacevole, la scrittura ha uno stile ironico e divertente, Starbucks – Il buono e il cattivo del caffè offre un'importante chiave di lettura dell'evoluzione della globalizzazione a livello mondiale attraverso le storie di una delle bevande più popolari e di uno straordinario successo imprenditoriale.
Recensione di Gianni Mezzadri